5. - IL RUOLO DELLA FAMIGLIA


Il manifestarsi della malattia mentale in uno dei membri di una famiglia costituisce un elemento dirompente all'interno della famiglia stessa.
Dapprima vi è l’incomprensione. Non si capisce cosa stia succedendo, di quale malattia si tratti, molte volte ci si illude, più o meno consapevolmente, che si tratti di una cosa passeggera, che guarirà in breve tempo.
E’ assai difficile riconoscere che il proprio congiunto, figlio, marito, fratello, sia malato di mente; si attribuiscono i suoi comportamenti ad altre cause, li si giustifica con le circostanze. Ma poi arriva il momento in cui ci si deve arrendere e riconoscere che il proprio congiunto è malato e deve essere adeguatamente curato. Allora si cerca disperatamente un aiuto, una soluzione, qualcosa che risolva la situazione e lentamente si impara ad affrontare la dolorosa esperienza.
La presenza di un malato psichico stravolge la vita della famiglia, mina l’equilibrio degli altri suoi membri, per essi diventa sempre più difficile mantenere quella normalità che permette di salvaguardare la loro salute mentale e nel contempo aiutare l’ammalato. Si crea un’atmosfera di frustrazione e di angoscia con sentimenti di insofferenza verso il malato da parte di alcuni componenti della famiglia, per cui non se ne comprende più la sofferenza. La famiglia stessa spesso si disgrega. A tutto questo si aggiunge molte volte la difficoltà di far curare il malato che spesso si oppone alle cura, considerandosi perfettamente sano.
Sovente i rapporti con i Servizi Psichiatrici sono critici, i famigliari hanno l’impressione che il loro caso venga trascurato o non adeguatamente trattato; gli operatori si sentono assillati dalle richieste dei familiari.
Le difficoltà economiche in cui si dibatte da sempre la sanità italiana complicano e rendono difficoltosi gli interventi.
Indifferenza, paura, incomprensione, diffidenza e sospetto circondano la malattia mentale, costituendo una barriera fra l’ammalato ed il resto del mondo; molto spesso anche gli stessi famigliari si vergognano e tendono a nasconderla come se si trattasse di una colpa e non di una malattia come tutte le altre.
Dopo un lungo periodo di colpevolizzazione della famiglia (vedi nota 1), attualmente se ne è riscoperto il ruolo fondamentale nel percorso terapeutico del malato, ma a questo riconoscimento non sempre seguono nella pratica, da parte dei Servizi Psichiatrici, atteggiamenti e comportamenti conformi.

Nota1: Il rapporto tra malattia mentale e responsabilità morale che la vecchia psichiatria custodialistica incentrava sul malato “sorvegliato e punito” è stato specularmene ribaltato dall’antipsichiatria, che ha colpevolizzato la società repressiva borghese produttrice di malattia e la famiglia che non vuole (o non può) accogliere il malato al suo interno.


Molte volte la presa in carico della persona malata da parte del Servizio Psichiatrico avviene con difficoltà, dopo molte insistenze da parte dei famigliari; ne risulta che le fasce più deboli, meno informate e meno combattive rischiano di non essere adeguatamente assistite.
Ad eccezione dei brevi periodi di ricovero per crisi o dei periodi di inserimento del malato nelle comunità, la famiglia, se esiste, è il luogo di vita del malato e pertanto riveste un ruolo fondamentale nella sua cura.
E’ necessario tenere presente alcuni principi basilari, evitando errori e comportamenti sbagliati che potrebbero aver contribuito alla manifestazione della malattia.
Si deve tentare di rasserenare l’ambiente familiare. La freddezza e l’ostilità vengono percepite negativamente dal malato; anche l’atteggiamento iperprotettivo, l’eccessiva apprensione, l’emotività vanno evitate. E’ stato osservato che un clima più disteso genera un diradarsi delle crisi ed una migliore stabilità del malato.
E’ bene che i famigliari non facciano del malato l’unico, ossessivo, centro delle loro attenzioni, ma continuino a coltivare interessi all’esterno, a frequentare gli amici, senza rinchiudersi in loro stessi e senza vergognarsi del famigliare ammalato.
Si deve comprendere (evitando di assecondare le sue manie) e accettare il fatto che gli atteggiamenti del malato, a volte ingiuriosi, di rifiuto, di apatia o di odio dipendono dalla sua volontà e non corrispondono veramente al suo sentire, ma derivano dalla sua malattia. Si deve combattere quel sentimento di tristezza e di abbandono che colpisce così spesso tutti i membri della famiglia, minando la loro capacità di lotta e di reazione.
Se il malato è cosciente del suo stato e consente a curarsi è bene che provveda lui stesso a seguire regolarmente le terapie ed all’assunzione dei medicinali. Spesso, il malato non accetta l’idea di curarsi e rifiuta le medicine; in questo caso è importante che i famigliari facciano pressione su di lui, sia pure con discrezione, affinché segua la terapia o siano essi stessi a somministrare i farmaci. E’ bene che i famigliari osservino con attenzione il comportamento del malato per fornire allo psichiatra, con cui dovranno tenersi in contatto costante, le necessarie informazioni circa lo stato di salute e l’effetto dei farmaci.
Fra curante e famigliari dovrebbe esistere un’alleanza terapeutica; purtroppo questo non sempre si verifica, sia per cause derivanti dall’atteggiamento degli operatori (desiderio di rapportarsi solo con l’ammalato per conquistarne la fiducia), che dei famigliari (eccessiva ingerenza).
Se la situazione si aggrava è necessario agire tempestivamente, prima che diventi drammatica, chiedendo l’intervento dello psichiatra e, se necessario, provvedendo al ricovero obbligatorio.


Riassumendo, per una migliore convivenza col malato, è bene seguire le seguenti regole:

1.

Cercare di non modificare il proprio comportamento e di agire naturalmente.

2.

Non accentrare la vita di tutti attorno al malato ma coltivare i rapporti sociali, gli interessi, gli affetti all’esterno della famiglia.

3.

Se non si sa cosa dire o fare, limitarsi ad ascoltare.

4.

Non aspettarsi progressi troppo rapidi, non coltivare speranze troppo grandi. Si deve seguire con pazienza il cammino giornaliero che a volte presenta delusioni e arretramento.

5.

Non scoraggiare il malato disapprovandolo e facendo continui confronti con altre persone o con le sue precedenti capacità. Usare il suo passato come raffronto sempre e soltanto quando questo è positivo.

6.

Cercare di mantenere l’ambiente circostante calmo e tranquillo. Evitare, nei limiti del possibile, le situazioni stressanti.

7.

Rispettare il desiderio di isolamento del malato, che può durare anche giorni, pur rimanendo sempre disponibili.

8.

Si devono stabilire all’interno della famiglia delle regole che vanno rispettate. I comportamenti aggressivi o troppo disturbanti non devono essere tollerati. Ricordarsi che la presenza di regole dà sicurezza anche all’ammalato.

9.

Comunicare col congiunto malato in maniera chiara, semplice, concisa. Troppe parole creano confusione.

10.

Seguire scrupolosamente le prescrizioni ed i consigli del medico curante.



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