Le famiglie di fronte alla malattia mentale
Sommario
Partendo dalla situazione di ignoranza, pregiudizio e stigma che caratterizza il problema della salute mentale in Italia ( e nel resto del mondo…), viene esaminata la posizione dei familiari dei sofferenti di disturbi psichici. Soprattutto nei confronti dei curanti e della psichiatria in generale.
Si passa poi alla nascita ed al significato delle associazioni in questo settore, con molteplici funzioni, al di là della semplice rappresentanza e pressione nei confronti delle istituzioni. Con obbiettivi ben precisi, sia come risultati concreti da ottenere, che come situazioni negative da cambiare.
Vengono infine esposti alcuni importanti risultati raggiunti dall’UNASAM.
La famiglia e la malattia mentale, ignoranza e pregiudizi
Mentre la cultura nei diversi settori della medicina avanza anche fra la gente comune per effetto del continuo apporto dei media, che crea poi domanda di ritorno, è opinione diffusa che nel campo della salute mentale esista ancora una certa misconoscenza del problema. È viceversa ben presente l’effetto del pregiudizio, come sempre avviene in questi casi, che va dalla paura, alla vergogna, alla colpa. La paura soprattutto è diffusissima nei confronti di un pericolo vago e distinto; vergogna e colpa colpiscono invece i familiari. I media purtroppo, invece di impegnarsi nella lotta al pregiudizio, ne sono anch’essi vittime acritiche, sempre alla ricerca esasperata di sensazionalismo a ogni costo.
In questo panorama si può verificare, a un certo punto, la situazione di un congiunto colpito dalla malattia mentale con diagnosi di schizofrenia o di altra psicosi grave. E qui inizia la difficoltà del confronto con qualcosa di difficile da capire, con i pareri più diversi degli addetti ai lavori (farmaci vecchi e nuovi, psicoterapie di varie tendenze, prognosi nebulose, prese in carico difficili), con il peso maggiore che grava sulla famiglia, non in grado di reggerlo per varie ragioni (età avanzata, mancanza di risorse economiche, conflittualità eccessiva…).
A differenza di altre malattie o di un handicap fisico, la malattia mentale non concede tregua, non consente una vita familiare degna di questo nome, poiché è molto distruttiva. Bisogna quindi aiutare le famiglie, ma come? Prima di tutto con un’informazione semplice e alla portata di tutti, che tocchi i diversi aspetti legati alla schizofrenia, ipotesi relative all’origine, farmaci in uso, aspetti della terapia e della riabilitazione, accesso ai servizi pubblici. Andranno anche toccati i problemi accennati sopra, riguardanti l’area del pregiudizio, liberando i familiari dei malati anche dagli schemi ormai superati, che vedevano soprattutto nelle madri responsabilità e colpe correlate alla malattia dei figli.
Un secondo passo è quello di organizzare dei gruppi di parenti, dove essi possano terapeuticamente condividere la loro esperienza, le loro sofferenze e apprendere dai terapeuti modalità nuove e diverse di rapportarsi con i malati, aiutandoli nel difficile cammino verso la riabilitazione. “Occorre superare la tradizionale relazione asimmetrica fra il professionista attivo e portatore di sapere, e il parente passivo… Un nuovo tipo di familiare farà così ingresso nei servizi per partecipare con un ruolo attivo nel processo di fronteggiare la malattia mentale e per contribuire con le sue idee e la sua energia al lavoro di un gruppo, non più passivo destinatario di consigli professionali” (H. Katschnig in Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 1995, 4, 2).
Un terzo passo sarà la costituzione di un’Associazione di familiari, ma ne parleremo più avanti.
Il quarto punto, quello fondamentale, è la costituzione di una rete di servizi pubblici in grado di effettuare quanto da tanti anni si sta invano aspettando, e cioè una vera presa in carico di questi malati. Il Progetto Obiettivo per la tutela della salute mentale (D.P.R. 10 novembre 1999), legge dello Stato, ribadisce giustamente i concetti della famosa legge 180 e prevede tutto quanto è ragionevolmente necessario: si tratta di passare alla fase di completamento dopo la chiusura dei manicomi.
Occorre bloccare la via a nuove cronicizzazioni, salvare i giovani che si ammaleranno domani, mediante la costituzione di una nuova psichiatria di territorio forte, dotata di tutte le risorse necessarie, umane, strutturali, economiche, in grado così di coinvolgere le famiglie per una proficua collaborazione, che possa offrire al malato il supporto necessario fino a quando non avrà potuto raggiungere una sufficiente autonomia, o la guarigione.
Nessuno si nasconde che questi obiettivi siano lontani e difficili da raggiungere, ma proprio per questo non possiamo più restare a guardare per altri lunghi anni.
Allora forse è necessario partire da un’azione per sensibilizzare l’opinione pubblica. È proprio quanto alcune associazioni hanno cominciato a fare negli ultimi anni.
Il vissuto dei familiari nei confronti dei curanti
Vale la pena probabilmente di soffermarsi un momento a esaminare il rapporto complesso che si instaura tra la famiglia del malato e i curanti. Mentre la letteratura fornisce ampio materiale sulla relazione tra familiari e malato, per non parlare di quella fra malato ed équipe terapeutica, l’argomento oggetto della nostra attenzione è ancora piuttosto trascurato.
Le premesse sono ancora quelle della scarsissima, per non dire nulla, conoscenza del problema della malattia mentale da parte della famiglia media italiana, e quindi della più totale impreparazione a riguardo. Questo fatto rende i familiari uno strumento docile e passivo.
Si instaura una relazione viziata in partenza, destinata a trasformarsi in seguito, con il vanificarsi delle aspettative, in risentimento e rabbia. L’abbandono in cui si trova a vivere, con i congiunti malati, la gran parte delle famiglie è quindi mediamente oggi il punto di partenza per una relazione molto complessa e difficile nei confronti dell’équipe curante. In effetti, la prima cosa che risulta evidente è una grande ambivalenza un po’ verso tutto quanto, le leggi, i farmaci, le psicoterapie, i costi… Le difese, soprattutto se si tratta di genitori, meno nel caso di fratelli o di partners, hanno pure un ruolo molto importante, anche se ben comprensibile.
Ecco quindi che il senso di impotenza e la caduta dell’autostima possono provocare un attacco alla cura, oppure sentimenti di gelosia e di invidia possono mettere in forse il sollievo e la riconoscenza verso i curanti. L’incertezza verso il futuro è un tema dominante, insieme a tutta una serie di problemi molto reali, come i tempi, i costi, la violenza a volte presente e il “che ne sarà dopo di noi”. Esiste poi, per finire questa breve riflessione, una diffidenza molto diffusa nei confronti della psichiatria in generale, con il suo gergo difficile, che a volte tende a escludere i parenti, a trascurare le peculiarità dei diversi casi con un appiattimento verso il basso. Inoltre tra i famigliari è sempre più diffusa una sensazione sostanzialmente negativa: la psichiatria attuale, pur intesa e applicata nel modo migliore da tanti validi operatori, appare come un sapere congelato, un circuito chiuso su sé stesso, da cui molto difficilmente si riesce a uscire perché la “parte malata” non guarisce con i mezzi attuali. Ecco perché i nuovi filoni di ricerca sui recovery factors, i fattori di ripresa, e anche i lavori sui gruppi di self-help, sia per utenti che per famigliari, sono visti con grande interesse e fiducia: si tratta infatti di operare sulla “parte sana”, non più su quella “malata”, sulla persona e non più sul sintomo.
Si aiuta la persona in difficoltà a ripercorrere il passato e, basandosi sul suo vissuto, si cerca insieme chi, cosa, quando e come è stato d’aiuto, ha ridato speranza e ha riportato il futuro nelle sue mani. Siamo quindi convinti che si possa instaurare un tipo di relazione nuovo e moltissime situazioni sono già lì a dimostrarlo, dover il ruolo importante dei familiari, opportunamente preparati e rafforzati nella loro autostima, venga finalmente riconosciuto ed essi possano finalmente collaborare come desiderano al progetto terapeutico-riabilitativo del loro congiunto.
Nascita e significato delle associazioni dei familiari
Da alcune delle considerazioni sopra esposte, e in seguito a condizioni locali particolarmente favorevoli o anche a volte sfavorevoli, gruppi di familiari hanno cominciato a discutere insieme, a ritrovarsi. Lo scopo in tanti anni che sono ormai passati è sempre quello: ottenere condizioni di vita più umane per i malati e i familiari, un’assistenza più consona a quanto la nostra civiltà sembrerebbe imporre, dimore protette, visite a domicilio ecc.
Ma, tornando alle associazioni, quali sono le funzioni principali a cui esse vanno incontro? Prima di tutto va ricordata la condivisione della sofferenza, la rottura della solitudine in cui si trovano le famiglie abbandonate via via da tutti, anche purtroppo da parenti e amici.
Lo scoprire di non essere soli, il constatare anche presso altri lo stesso tipo di condizione, di situazione, di dolore è di per sé un fatto terapeutico. Più oltre si potrà parlare di un vero e proprio auto-aiuto, sia pratico che psicologico, ma già il ritrovarsi periodicamente è cosa di grande valore.
Segue un lavoro di difesa comune contro le emergenze di rappresentanza presso le istituzioni e di collegamento in rete con altre associazioni consimili. Una presenza vigile a fianco dei servizi, possibilmente non solo rivendicativa e antagonista, ma come tramite di cultura e risorsa con cui collaborare attivamente. Ecco quindi sorgere diverse iniziative nei confronti dell’opinione pubblica, dibattiti, proiezioni di films, convegni, campagne pubblicitarie.
Oppure iniziative pratiche in collaborazione con i servizi locali per organizzare attività di tipo lavorativo o ricreativo in strutture messe a disposizione da enti locali o dai parenti stessi, sotto forma di day-ospital. Altrove sono stati organizzati momenti di vacanza protetti, oppure viaggi o visite turistiche. Insomma si sta diffondendo l’opinione che i familiari organizzati sono una vera e propria risorsa, che deve essere sempre più valorizzata e che in questi tempi di ristrettezza può dare molto in un percorso vicino a quello dei servizi , ma certamente diverso.
Con pari dignità, però, e quindi con il giusto rispetto dovuto a chi, pur nella sofferenza quotidiana, si vuole impegnare in un progetto di terapia, riabilitazione e reinserimento sociale dei malati più gravi da una parte, e dall’altra di salvezza per i giovani che si ammalano per la prima volta e per cui va impedita la cronicizzazione. E qui bisogna ricordare il ruolo salvifico del lavoro, che appare per adesso come il fattore di guarigione più importante a disposizione di chi si occupa di questi malati. Esso è in grado di ridare un senso alla vita, di ridare dignità alla persona, anzi di farla ritornare una persona a pieno titolo, con diritti e doveri, inserita come gli altri nel contesto sociale.
Ecco quindi l’ultimo compito per le associazioni, far sorgere possibilità di lavoro, sia cercando strade per inserimenti lavorativi protetti, sia fondando cooperative di tipo B, dove una parte rilevante dei soci è portatrice di bisogno, “Meno ospedale e più lavoro” potrebbe essere uno slogan significativo da adottare per riassumere un concetto fondamentale che sta già dando i suoi frutti in moltissime situazioni italiane e straniere da lungo tempo consolidate.
Nel frattempo si possono ricordare alcune tappe importanti nel percorso dell’Unasam in questi ultimi anni, di grande crescita e visibilità.
La partecipazione all’Osservatorio per la salute mentale presso il Ministero della Sanità, alla Consulta nazionale (con CGIL Funzione Pubblica, Psichiatria Democratica, Arci, Cittadinanza attiva e Caritas), la presenza attiva nel Comitato Nazionale di Bioetica per il bel documento del dicembre 2000 sulla salute mentale, il ruolo trainante nella Prima Conferenza Nazionale e nelle manifestazioni per il 7 aprile 2001 (Giornata mondiale OMS per la salute mentale) che ha visto instaurarsi un nuovo clima di collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria.
Citerò infine, come esempio, le ultime iniziative delle associazioni dei famigliari, come quelle di far sorgere piccole comunità protette modello, a misura di persona. L’ultima in Valtellina, inaugurata in questi giorni: nata per iniziativa di una benefattrice, con un lavoro corale delle associazioni (nazionale Unasam e locale Navicella) e di una cooperativa sociale appositamente fondata, in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale per dieci persone.
Le associazioni dei familiari
Le posizioni che le associazioni dei familiari portano avanti possono essere sintetizzate in due grandi categorie: cosa si vuole ottenere e cosa si vuole cambiare.
Gli obiettivi: il pieno riconoscimento della dignità e dei diritti di base dei malati di mente e dei loro familiari; assistenza adeguata sia nelle fasi di cronicità sia in quelle di acuzie e di emergenza; riabilitazione psicosociale e continuata, cioè lavorativa, abilitativa e con servizi di supporto (cure domiciliari, colf, ecc.) e tutto questo nella propria zona di residenza e con il coinvolgimento delle famiglie; la chiusura definitiva di tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari e privati; un buon lavoro di prevenzione e di diagnosi precoce nel campo della salute mentale, a partire dalle scuole.
Le cose da cambiare: i malati abbandonati con le loro famiglie a un tragico destino che uccide gli uni e gli altri; i buoni operatori che non possono sopperire personalmente a tutte le mancanze di uno Stato che troppo sovente non c’è; una situazione sempre più logora di buone leggi che troppo sovente rimangono inapplicate; il permanere del pregiudizio e dello stigma, che impedisce la partecipazione attiva dell’opinione pubblica agli obiettivi.
Un altro tema fondamentale è quello della qualità dei servizi e delle prestazioni in campo psichiatrico. In questo momento delicato in cui le risorse sono sempre più scarse, sembra per lo meno strano che a parlare di qualità siano solo gli operatori. La voce degli utenti in Italia non si sente ancora affatto e quella delle famiglie, purtroppo non informate e vittime anch’esse degli stessi pregiudizi, di paura e di vergogna dominanti nel Paese, è ancora troppo debole per poter farsi sentire.
Questo è il punto su cui lavorano così efficacemente i media e certa opinione pubblica da sempre ostile alla riforma.
L’Unasam
L’unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale si è costituita nel 1993 attraverso un processo pluriennale di contatti, incontri e consultazioni fra un grande numero di realtà associative. È un’aggregazione di organismi regionali (coordinamenti) rappresentativi di diverse associazioni con gli stessi fini nel campo della sofferenza psichica e con attività locali proprie e autonome.
Si tratta in genere di associazioni di familiari, ma sono presenti anche altri componenti, come il privato sociale, il volontariato e operatori pubblici e privati.
L’Unasam è pertanto uno strumento per rappresentare in maniera unitaria le associazioni aderenti nei confronti delle istituzioni, delle organizzazioni nazionali e internazionali e della società in generale.
All’estero l’Unasam è nel direttivo dell’EUFAMI (Associazione europea dei famigliari) e della WAPR (Associazione mondiale per la riabilitazione psicosociale).
Ernesto Muggia
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