4. - LE CURE IN PSICHIATRIA


La malattia mentale è data dall’interazione di fattori costituzionali, genetici ed altri che operano a livello sia psicologico che sociale.
Se da una parte c’è una tendenza che si evolve verso una visione globale della molteplicità di fattori che sono alla base delle cause e del decorso delle malattie mentali, dall’altra c’è la tendenza ad isolare un singolo fattore come spiegazione dei processi patologici. Questa tendenza è peraltro alimentata dagli innegabili e talvolta straordinari progressi delle neuroscienze e degli studi di genetica. E’ plausibile un modello che porti a concepire la malattia come il risultato di una complessa commistione di tratti temperamentali innati, esperienze infantili avverse, disfunzioni neurologiche e biochimiche, a loro volta geneticamente determinate o possibile conseguenza di una combinazione di esperienze negative precoci e di una vulnerabilità congenita.

Per i motivi sopra accennati si può ritenere che il trattamento ottimale, specie nelle patologie gravi, sia dato dall’integrazione di interventi psicofarmacologici, psicoterapici e riabilitativi.


4.1 - GLI PSICOFARMACI

La moderna psicofarmacologia nasce negli anni ’50 del secolo scorso con la scoperta della clorpromazina (Largactil), capostipite dei neurolettici, scoperta per caso, come altri psicofarmaci, nel corso di ricerche avviate per sintetizzare nuove molecole per usi non psichiatrici.

Una possibile classificazione degli psicofarmaci è la seguente:
-neurolettici,
-stabilizzatori dell’umore,
-antidepressivi,
-ansiolitici e ipnoinducenti.

a) Neurolettici

Sono farmaci usati nel trattamento dei sintomi psicotici (ad es. nella schizofrenia, nel disturbo schizoaffettivo, negli episodi maniacali e negli episodi depressivi con manifestazioni psicotiche). I cosiddetti antipsicotici classici (clorpromazina, aloperidolo ecc.), attivi attraverso il blocco dei recettori dopaminergici (parti specializzate delle cellule nervose a cui si lega la dopamina, sostanza prodotta dai neuroni), sono efficaci nel controllo dei cosiddetti sintomi psicotici positivi quali allucinazioni, deliri, disorganizzazione del comportamento, agitazione ecc.
Non sono efficaci nel trattamento dei sintomi psicotici negativi quali appiattimento affettivo, chiusura, apatia, limitazione nella fluidità del pensiero, mancanza di volontà, compromissione dell’attenzione (sintomi per altro non sempre facilmente distinguibili dai vissuti nei confronti della malattia, o talvolta indotti dall’ambiente poco stimolante o dai farmaci stessi).
Gli antipsicotici di prima generazione possono dare spiacevoli effetti collaterali; tra i principali i disturbi del movimento simili al morbo di Parkinson (acinesia, tremore, rigidità), movimenti involontari del volto e della lingua (discinesia tardiva), aumento dell’ormone prolattina con amenorrea e galattorrea.
Per il trattamento dei disturbi del movimento e del tono muscolare indotti da neurolettici si possono usare i farmaci anticolinergici (biperidene, orfenadrina ed altri), a loro volta non privi di effetti collaterali. La situazione è migliorata con la disponibilità dagli anni ’90 dei cosiddetti antipsicotici atipici (risperidone, clozapina, quetiapina, olanzapina,aripiprazolo), che bloccano i recettori della dopamina e della serotonina; questi farmaci, pur non privi di effetti collaterali importanti (a seconda dei casi aumento ponderale, diminuzione dei globuli bianchi ecc.), provocano scarsa presenza di sintomi parkinsoniani e sono più efficaci sui sintomi negativi.
Per alcuni antipsicotici sia tipici (aloperidolo, zuclopentixolo,flufenazina,perfenazina) che atipici (risperidone) esistono preparazioni cosiddette depot o long-acting che permettono un’unica somministrazione per via intramuscolare ogni 2-4 settimane: il principio attivo del farmaco è legato a sostanze che ne permettono una lenta e continua liberazione nel sangue per cui l’azione di ciascuna somministrazione è prolungata. Possono essere utili in quelle situazioni in cui c’è una scarsa affidabilità del paziente nell’assunzione regolare della terapia prescritta.

b) Gli stabilizzatori dell’umore

Sono farmaci usati nel trattamento delle fasi maniacali del disturbo bipolare, patologia caratterizzata da episodi sia maniacali (euforia, iperattività, onnipotenza, aggressività ecc.) che depressivi, e nella prevenzione di nuovi episodi.
Vengono usati il litio, alcuni antiepilettici (valproato, carbamazepina, gabapentin, topiramato e lamotrigina) e gli antipsicotici atipici (in particolare l’olanzapina).
Il litio è efficace ma poco maneggevole; può in particolare provocare effetti indesiderati a livello renale, cardiaco e tiroideo e la bassa soglia al di sopra della quale può provocare una grave intossicazione costringe spesso a controllare il dosaggio nel sangue.
Gli altri farmaci sono più maneggevoli, pur presentando anch’essi effetti indesiderati. Il valproato è di prima scelta in quelle forme in cui ci sono rapidi viraggi dalla depressione all’euforia o quando coesistono sintomi maniacali e depressivi.

c) Gli antidepressivi

Sono farmaci indicati nel trattamento delle forme depressive più gravi, denominate episodi depressivi maggiori, e nei disturbi d’ansia quali il disturbo da attacchi di panico con agorafobia, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo ossessivo compulsivo; trovano indicazione anche nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.
Gli antidepressivi di prima generazione (imipramina, amitriptilina, clorimipramina, nortriptilina ecc.), efficaci sul piano clinico, provocano una serie di fastidiosi effetti collaterali e vanno somministrati con cautela a cardiopatici, epatopatici, anziani, epilettici.
Dagli anni ’80 sono disponibili dei farmaci antidepressivi che agiscono in modo selettivo sulla serotonina (l’aumento dell’attività dei neuromediatori serotonina e noradrenalina ha effetto antidepressivo) quali la fluoxetina e successivamente fluvoxamina, paroxetina, citalopram, sertralina, eccetera.
Altri farmaci comparsi più di recente, con un meccanismo d’azione più complesso sono la venlafaxina, la mirtazapinata, la duloxetina. Questi farmaci si sono mostrati efficaci ma soprattutto più maneggevoli, causando minori e meno gravi effetti indesiderati.
La tendenza oggi, anche a fronte della maggiore maneggevolezza, è di prescrivere tali farmaci per periodi prolungati, oltre la risoluzione dell’episodio depressivo.

d) Gli ansiolitici e ipnoinducenti

L’ansia è uno stato soggettivo caratterizzato da paura, tensione emotiva, spesso accompagnato da sintomi fisici (tremori, sudorazione, dolori diffusi o localizzati, sensazione di fame d’aria, vertigini ecc.). E’ un fenomeno diffuso e gli ansiolitici sono tra i farmaci più soggetti ad uso improprio o abuso.
L’intervento farmacologico nell’ansia dovrebbe limitarsi a sostenere altri interventi farmacologici, psicoterapeutici e ambientali volti a identificare e modificare i fattori che hanno condotto al manifestarsi del disagio.
Gli ansiolitici più usati sono le benzodiazepine (dal clordiazepossido e il diazepam sintetizzati negli anni ’60 seguiti da lorazepam, bromazepam fino all’alprazolam, triazolam ecc.), che oltre ad una attività ansiolitica posseggono un’attività ipnoinducente (favoriscono l’addormentamento) e miorilassante (consentono un rilassamento muscolare).
Le benzodiazepine costituiscono un gruppo omogeneo di composti che si differenziano per la durata d’azione per cui alcune sono indicate come ansiolitici, altre come ipnoinducenti. Provocano effetti indesiderati quali sonnolenza, vertigini, disturbi dell’equilibrio e della motilità, depressione respiratoria in pazienti con insufficienza respiratoria; inoltre possono arrecare fenomeni di dipendenza, tolleranza (diminuzione dell’efficacia nel tempo a parità di dosaggio), astinenza. 

4.2 - LA RIABILITAZIONE

La malattia compromette le funzioni psichiche, rende difficili la comprensione della realtà circostante e la comunicazione con gli altri, porta all’isolamento.
La riabilitazione psicosociale si pone come obiettivo aiutare le persone affette da gravi disturbi mentali ad utilizzare le abilità emotive, relazionali e sociali necessarie per vivere nel modo più autonomo possibile e sviluppare al massimo le proprie potenzialità nell’ambiente in cui vivono.
Partendo da una valutazione delle capacità integre e di quelle compromesse, viene stilato con il paziente un programma che tiene conto di capacità, interessi, livello culturale, gravità della patologia. I programmi riabilitativi mirano a migliorare la capacità di comunicazione e relazione con gli altri, la consapevolezza di sé e l’autostima, la capacità di progettare e realizzare la vita quotidiana.
E’ un percorso lungo e graduale che richiede l’interazione di figure professionali diverse e l’uso di varie tecniche quali arteterapia, musicoterapia e attività di espressione corporea, ma che si realizza anche in attività lavorative e di semplice vita quotidiana.

4.3 - LA PSICOTERAPIA

Per psicoterapia si intende una terapia basata sul presupposto che il disagio e la sintomatologia che una persona presenta possano essere influenzati dalla relazione con altre persone.
Esistono vari tipi di psicoterapie (psicodinamiche, sistemico-relazionali, comportamentali, cognitive ecc.) che si differenziano per i presupposti teorici e le tecniche di intervento.
Le indicazioni sono varie, riguardano in particolare disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi di personalità. Va però sottolineato che anche nelle patologie più gravi è opportuno che ci sia un intervento psicoterapeutico, con funzioni di sostegno, integrato con gli altri interventi di tipo farmacologico e riabilitativo.

4.4- LA VALUTAZIONE DELL'EFFICACIA

Una valutazione dell’efficacia di un trattamento farmacologico o di altro genere in psichiatria può non essere semplice in quanto la malattia ha un suo corso naturale, a prescindere dai farmaci (questo è stato ben osservato nel lungo periodo che ha preceduto la nascita della moderna psicofarmacologia). Inoltre è influenzata dalle tappe dello sviluppo della persona, dagli eventi di vita, dalla vulnerabilità, dalle aspettative. Un ruolo importante possono averlo le variabili storiche o sociali; basti pensare cosa hanno comportato la chiusura dei manicomi, la legge 180 e la comparsa di nuove realtà istituzionali.
Infine il farmaco ha un suo significato simbolico e si colloca all’interno di una relazione che lega medico e paziente; questo è un elemento che di fatto influenza l’efficacia di qualsiasi intervento. La terapia farmacologica è efficace non solo su base biochimica ma anche come mezzo che rende il paziente accessibile alle elaborazioni psicologiche; spesso solo attraverso l’intervento psicoterapico si possono capire i significati negativi attribuiti al farmaco e la non adesione del paziente al trattamento proposto.

4.4- VALUTAZIONI DI ORDINE GENERALE

Le malattie mentali gravi sono fenomeni estremamente complessi e purtroppo mancano terapie risolutive, sia per la complessità stessa di tali fenomeni sia per l’attuale ignoranza al riguardo. Diventa essenziale che i medici e tutti coloro che si occupano della cura mirino a un programma di cura che ponga al centro i bisogni del paziente; in altre parole che non privilegino alcun tipo di intervento ma che si chiedano che cosa sia importante per quel paziente in quel momento della sua vita e della sua storia di malattia. Parimenti sono importanti gli interventi educativi e di sostegno sull’ambiente che circonda il paziente, a partire naturalmente dalla famiglia, in modo che essa possa diventare realmente una risorsa.

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