CICLO DI INCONTRI PER FAMILIARI DI PERSONE CON DISTURBI PSICHIATRICI E OPERATORI DEL SETTORE

Diagnosi plurime: Disabilità intellettiva associata a disturbo psichiatrico

Relazione Dott. Dott. Gianluigi Mansi  - Medico psichiatra, istituti clinici Zucchi di Carate Brianza

Lissone, 30 Marzo 2019

Io sono medico in una unità di psichiatria del gruppo San Donato a Carate, ma il motivo per cui oggi sono qui è la lunga esperienza nell'ambulatorio delle disabilità intellettive dell'Istituto di ricerca Eugenio Medea di Bosisio, un ambulatorio per i disabili cognitivi dai 18 anni in poi.
Io ho ereditato l’ambulatorio di Bosisio che ha una lunghissima tradizione di studio delle varie forme di intelligenza e dei relativi disturbi e ho continuato un lavoro che a mio parere - questa è la prima osservazione che vorrei portarvi - riguarda una popolazione (quella dei pazienti con doppia diagnosi di disabilità intellettiva associata a disturbo psichiatrico) che interessa poco alle istituzioni.
La mia sensazione è che, a differenza delle patologie più comuni e riconosciute, ci sono pochi ambulatori specifici per i pazienti con doppia diagnosi; la disinformazione è tale che quando si parla di doppia diagnosi di solito tutti pensano a patologia psichiatrica e dipendenze.
La doppia diagnosi -termine molto discutibile- di cui io mi interesso è quella che riguarda la disabilità intellettiva (che è nuovo modo di definire il ritardo mentale) unita ai disturbi psichiatrici.
Prima osservazione: avere una disabilità intellettiva (cioè un ritardo mentale) non vuol dire avere necessariamente un problema psichiatrico.
Il problema psichiatrico riguarda il 30-40% dei soggetti con disabilità intellettiva, l’altro 50-60% non ha patologie psichiatriche ma una particolare e complessa organizzazione psichica quale è la disabilità intellettiva.
Seconda osservazione: la popolazione con disabilità intellettiva veniva una volta suddivisa in disabilità intellettiva lieve, media, grave e gravissima a secondo della profondità del disturbo intellettivo, cioè del Quoziente Intellettivo (QI).
Viceversa, io sono assolutamente certo che le disabilità intellettive “gravi”, cioè più difficili da gestire, sono quelle lievi perché c'è un continuo ripensamento doloroso: la dolorosa autoconsapevolezza dell'handicap che i nostri ragazzi hanno (“perché è capitata proprio a me”).
I nostri ragazzi molto spesso hanno momenti di rabbia in funzione del fatto non che non capiscono perché sono stati assegnati a un destino differente che, diciamoci la verità, è più infelice rispetto al destino delle persone “normali”.
Occorre tenere conto che nelle disabilità intellettive con doppia diagnosi possiamo individuare un danno organico, cioè anomalie biologiche che si stanno via via individuando: ma è questo che determina la psicopatologia? O meglio, è solo questo che determina la psicopatologia?
Un esempio toccante:
Un po' di anni fa un ragazzino è venuto da me e io gli ho chiesto: “Ma perché non stai facendo le prove di test? Perché la tua maestra mi ha detto che non fai neanche più le espressioni?”
E lui mi rispose:
“Ma Dottore hai provato che cosa vuol dire fare sempre le espressioni e non te ne è mai venuta una? Non ho mai fatto un’espressione giusta!”
Cioè: sono soggetti che fin da piccoli hanno sentito di essere soggetti deludenti ... che hanno deluso le aspettative familiari e sociali. Aspettative che, come sapete, sono legate molto spesso alle performance dei nostri ragazzi. La scuola è molto orientata in questi termini: è bravo, non è bravo...
Sono soggetti che, fin da piccoli, hanno avuto un rapporto difficoltoso con le prove e che quindi a un certo punto hanno cercato di evitarle o comunque non si sono impegnati (“tanto è inutile”), e ciò vale anche per le valutazioni dei test di livello.
Quante volte io mi sono sentito dire da questi ragazzi, che hanno spesso un’intelligenza logico matematica bassa: “Dottore ma sei triste oggi?”: hanno spesso capacità emotive ed empatiche veramente rare, una forma di intelligenza emotiva che spesso ci dimentichiamo noi stessi di esercitare.
Quindi il nostro problema è: come facciamo a definire qual’ è la psicopatologia dei nostri ragazzi?
I nostri ragazzi sovente sono irritabili; per esempio, hanno una sorta di difficoltà a farci capire i loro stati d'animo e quindi su questi termini possono avere i cosiddetti comportamenti problematici.
Spesso ciò che a noi preoccupa di più sono le anomalie del comportamento.
Le anomalie del comportamento sono sicuramente legate alla necessità che hanno di comunicare col soggetto a cui si trovano di fronte e alla importanza che l’interlocutore ha per loro.
Ad esempio, io non ho mai preso neanche uno schiaffo da un ragazzo con disabilità intellettiva perché loro non mi vogliono bene: loro schiaffeggiano le persone a cui vogliono bene, solitamente la mamma o il papà, perché sono le persone con cui possono permetterselo; oppure l’educatore con cui molto spesso hanno un rapporto intimo, importante.
Con me no! Perché mi vedono ogni tanto e sono il dottore col camice: c'è tutta una freddezza di rapporto che fa sì che io sia, per così dire, protetto e loro raramente hanno trasporti emotivi nei miei confronti.
Quello che volevo dirvi è che è ancora misterioso il nostro rapporto con la mente di questi nostri ragazzi.
Perché noi psichiatri siamo bravissimi nel fare gli anatomisti, nel dividere pensiero, memoria, attenzione, intelligenza: in realtà facciamo fatica a capire qual è il funzionamento psichico dei nostri ragazzi con disabilità, qual è la loro capacità di capire, provare emozioni, sentirsi capiti (provate a pensare a chi non ha il linguaggio verbale).
La stessa definizione di intelligenza non è univoca; un collega (Daniel Goleman, i cui libri, molto interessanti, sono tradotti anche in italiano) ha scoperto, neanche tanti anni fa, che ci sono diversi tipi di intelligenza.
Ad esempio, un atleta abilissimo sugli sci può non essere particolarmente abile nel parlare o possedere un’intelligenza logico matematica elevata.
L'intelligenza dei nostri ragazzi, quindi, deve essere scissa nelle diverse funzioni; sono capaci, certe volte, di leggerci nel cuore con una certezza ed una intuizione che raramente noi troviamo nei soggetti logico matematici… al punto tale che alcuni colleghi hanno parlato di neuro diversità: è un tema molto interessante.
È un po' come il mancinismo: chi di noi è un po' più anziano sa come il mancino veniva perseguitato a scuola (legato il braccio sinistro ecc.…); cioè veniva obbligato ad usare la destra, non sapendo che l'emisfero dominante era l’emisfero destro e quindi era una caratteristica geneticamente definita.
Del resto, i mancini avevano e hanno delle competenze particolari: spesso grandi giocatori di tennis sono mancini. Quindi c'è qualcosa in più nei mancini.
Del tema della biodiversità si interessano per esempio i parenti dei pazienti affetti da autismo.
(Per inciso: credo che la popolazione delle persone autistiche sia più “fortunata” delle persone che hanno disabilità intellettiva; cioè sono più rappresentate, sono più interessanti, ci sono film su di loro, più interesse)
I parenti dei pazienti affetti da autismo sostengono che i loro cari sono neurodiversi, che non hanno una patologia psichiatrica e che l’autismo è come il mancinismo: è un modo diverso di essere al mondo.
I miei ragazzi (quando dico “i miei ragazzi” intendo i miei ragazzi con doppia diagnosi, con disabilità intellettiva) fanno fatica a sostenere anche questo, ma credo che sia un filone interessante da seguire in futuro.
Differenziare un pochino la disabilità intellettiva dal disturbo psichiatrico credo sia una buona cosa.
Il rischio qual è? Il rischio è, a mio parere, che questa popolazione sia studiata poco.
Un esempio pratico: i farmaci che noi usiamo sulla popolazione dei disabili intellettivi non è mai stata approvata specificatamente su di loro. Non è sperimentata perché motivi etici, che potete capire (vale a dire il consenso informato), ci impediscono di sperimentare farmaci sui disabili intellettivi.
L'amministratore di sostegno che invece, in funzione di quello che ha scritto il giudice, ha solitamente una funzione di tipo finanziario, non sempre si può interessare della salute mentale di un soggetto; comunque è impensabile di proporgli che il suo assistito partecipi a una sperimentazione!
Così siamo costretti a usare, per esempio, dei neurolettici per sedare che, talvolta, non funzionano oppure, addirittura, qualche volta funzionano in senso paradosso: cioè agitano. Inoltre i neurolettici danno importanti effetti collaterali.
Col passare degli anni uno dei problemi è il sovrappeso; il sovrappeso non è soltanto un problema perché determina un aumento del rischio cardiovascolare, ma perché il tessuto adiposo cattura il farmaco; cioè il tessuto adiposo inibisce in parte l'azione farmacologica.

Questo è uno dei tanti temi di cui, se vorrete, parleremo alla fine con le domande.
(Testo modificato il 12-02-2023)